TEHERAN – Una giocatrice iraniana la vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Ma anche dal velo. No, non è la nuova canzone di Francesco De Gregori. È la condizione in cui sono costrette a scendere in campo le calciatrici della nazionale dell’Iran. Capo completamente coperto. Corpo senza il minimo lembo di pelle in evidenza, ad esclusione di mani e viso. Come se una partita di calcio fosse il pretesto per sbirciare qualche corpo semi-nudo. Ma forse uno spiraglio di luce (e di speranza) può ancora passare attraverso il velo.
Classe – Ma ve la immaginate? Shahla è una ragazza iraniana di 23 anni. Si riunisce tre volte alla settimana, su un prato verde, insieme a 21 amiche e a un pallone da calcio. Un’occasione rara per respirare sport e libertà. Sulle spalle una maglia bianca con un numero, il 10. E nel cassetto un sogno: imitare le giocate dei campioni europei come Beckham e Baggio. Ma la tuta integrale che è costretta a portare la limita nei movimenti. Il velo disturba la visuale quando punta la porta avversaria. Per non parlare del caldo asfissiante che toglie il respiro. All’ennesimo pallone sbagliato, la ragazza decide di dribblare i divieti imposti dai fondamentalisti islamici.
Compromesso – La storia (inventata) di Shahla è uno dei tanti esempi che hanno portato la Federcalcio iraniana a cercare un compromesso con la Fifa sulla divisa da indossare in campo. La nazionale femminile è stata invitata a partecipare ai prossimi Giochi olimpici di Singapore, in programma ad agosto. Ma il velo non sarà consentito, pena l’esclusione. Le due federazioni hanno trovato una soluzione: le giocatrici potranno usare, al posto del velo, «una cuffia che copra la testa fino all’attaccatura dei capelli, senza scendere sotto le orecchie e senza coprire il collo».
Ma le calciatrici non devono comunque allarmarsi. Come canta De Gregori, «non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore»
Ivano Pasqualino
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